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Termini al termine (finalmente)

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Quando si viaggia sull’autostrada [regionale] che va da Palermo a Messina, poco dopo l’uscita di Villabate, s’iniziano a scorgere delle ciminiere bianche e rosse a strisce orizontali, che vanno definendosi man mano che vi si avvicina: sin da quando ero un bambino, e con la famiglia andavamo in villeggiatura in una casa sul mare vicino Cefalù, le ho osservate dal finestrino della macchina, incuriosito e talvolta affascinato dalla possenza e dal singolare aspetto.

Quelle ciminiere, scoprii in età più matura, erano in realtà l’unico segno dell’industrializzazione nell’occidente Siciliano: si ergono ancora (e per poco inoltre) nel mezzo di un deserto di capannoni industriali cadenti, vuoti e scheeletrici, che muovono sulle labbra un sorriso isterico quando si legge sulla strada l’indicazione “Zona Industriale”, con riferimento all’area in questione.

Per decenni l’attività principale del territorio circostante è stata la produzione  di automobili FIAT (a onor del vero: di pessima qualità) e Lancia, la qual cosa ha incrementato la popolazione dei comuni circostanti (Termini Imerese, Villabate e Bagheria), attirando villici da ogni angolo della Sicilia occidentale, in cerca del posto fisso in fabbrica.
Al fine di fomentare tale afflusso, innegabilmente per motivi elettoralistici, i potenti signori del territorio (deputati regionali, nazionali e sindaci) hanno spinto forzosamente la Regione  Siciliana a fungere da ufficiale pagatore e corruttore, nella misura in cui, camuffati da incentivi e altri sgravi fiscali, ha corrotto l’azienda torinese, da sempre in crisi per la scarsità delle vendite dei propri modelli, purché continuasse la produzione sulle rive dell’Imera.

Sergio Marchionne, il nuovo Signore di casa FIAT

Gli Agnelli, è noto, sono gran brutta gente, e da tanto ormai (sebbene con buoni matrimoni nobiliari si siano affrancati e innalzati al rango di nobili borghesi, come i loro omologhi americani, originariamente trafficanti di alcohol, i Kennedy): è noto uno scambio epistolare tra il Duce del Fascismo (Mussolini, insomma) e il Cavaliere Giovanni Agnelli, nel quale il secondo pietiva fondi pubblici (già un secolo fa!), minacciando il primo, e questo di rimando minacciava scioperi nelle fabbriche da parte del sindacato fascista. In varie occasioni Mussolini ebbe modo di lamentarsi con i suoi collaboratori delle insistenze dell’industriale torinese, riducendolo a un pietente incapace.
I decenni son trascorsi, ma lo stile Agnelli non è cambiato: fondi pubblici, a fronte di impieghi di amici e clientes dei vari potenti di turno: un circolo del vizio che ha funestato le casse pubbliche, contribuendo in grande misura al disavanzo nazionale.

Ebbene, a un certo punto della nostra storia arriva d’improvviso una crisi economica, e conseguentemente industriale, senza pari da quasi un secolo: si devono dismettere tutti i rami secchi e puntare sul tronco vivo.
L’illuminato nuovo signore di casa Agnelli, Sergio Marchionne, elabora una strategia molto concreta, al fine di superare l’imprenditoria statalista: pone fine alle clientele e punta sulla qualità e quantità della produzione. Ergo, lo stabilimento di Termini Imerese non è più necessario, in quanto gestito male, improduttivo e costoso, a favore di quelli polacco di Gdànsk (Danzica), dove con metà dello stipendio di un metalmeccanico siciliano, il suo omologo polacco produce un terzo in più.

Per quanto personalmente trovi ripugnante l’idea di sovvenzioni statali (leggasi, ad esempio, “incentivi per la rottamazione”) atti a finanziare altri sistemi economici (nell’esempio sopra citato, quello polacco), non posso negare che sia del tutto logico che una società privata tenda al profitto e razionalizzi i sistemi produttivi.
Una separazione amichevole tra Stato Italiano (o Regione Siciliana) e Agnelli è quanto di meglio ci si possa attendere ad oggi, nella speranza che il divorzio sia reso definitivo presto, vista anche la recente acquisizione di importanti mercati stranieri da parte della FIAT-Marchionne.

Written by Antonello Provenzano

12 gennaio 2010 at 12:57 PM

Dinastie in picchiata

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Chi in questi giorni non si sta facendo matte risate nell’osservare le storie e storiacce di cui il primo ministro italiano, sua maestà Silvio I, si è andato a impelagare? Lo spettacolo a cui si assiste è paragonabile a un incidente d’auto sull’autostrada: passiamo accanto, inorridiamo eppure siamo curiosi di vedere un morto tra le lamiere, accusandolo verbalmente o mentalmente di irresponsabilità, essendo stato quegli troppo irresponsabile nel guidare ad alta velocità, sebbene non si abbia ben chiara la dinamica dell’incidente.

Non amo parlare dei fatti odierni, preferendo un tono più assoluto che non si soffermi sugli accadimenti giornalieri, ma che prenda in esame il lungo termine delle evoluzioni: eppure in questo caso, così pervasivo negli organi di stampa, così appassionante, come solo le novelle d’amore da pochi euro, sono stato anche io colpito dallo schianto, causato da motivi così futili, tanto quanto l’eco immenso che esso ha fatto risuonare intorno a sé.

La "triade" della FIAT: Sergio Marchionne, Luca Cordero e John Elkann.

La "triade" della FIAT: Sergio Marchionne, Luca Cordero e John Elkann.

Nonostante l’ostentata forma di repubblica laica e secolare, l’Italia è sempre stata una nazione attanagliata da rituali arcaici, quali il rispetto per il nome, la posizione o il lignaggio di un personaggio, al punto tale che a tutt’ora, settantanni dopo la dichiarazione della fine del sistema monarchico, duchi, principi, conti e baroni ancora tengono il proprio titolo in bella mostra e sono riveriti e ossequiati, ben lungi dal merito o dal contesto.
Le famiglie reali sono sempre state nell’immaginario dei popoli, senza limiti geografici o culturali (si pensi a cosa sia per gli Americani la dinastia Kennedy, ex contrabbandieri di alcohol negli anni del proibizionismo, che da decenni controlla i destini politici degli Stati Uniti), alla continua ricerca di una guida, di un principe dall’arme scintillante che conduca a vittorie e plachi le paure.

In assenza di una tale figura, l’Italia ha cercato nella nuova borghesia un’immago che quanto meno potesse avvicinarsi a tale concezione: per decenni la famiglia Agnelli ha dominato i cuori e le menti della nazione intera, aristocraticamente intoccabili e di gusti sopraffini, benché i natali non nobili, i quali controllavano politici, manager o semplici uomini e donne, dei quali si facevano dispensatori di fortune e disgrazie, a seconda dei capricci o degli interessi che essi rappresentavano.
Con tale potere economico e carismatico, per decenni gli italiani hanno finanziato, a mezzo di tasse o agevolazioni fiscali, gli intrallazzi più o meno leciti delle aziende familiari, spesso in affanno finanziario, le quali di converso hanno sempre mugugnato al momento di dover restituire parte di ciò che avevano ottenuto, sovente anzi penalizzando i loro stessi clientes e benefattori, delocalizzando la produzione dei propri prodotti in altre nazioni.
Mi sovviene alla memoria una lettera, ritrovata (o svelata) qualche anno fa, nella quale il Cavaliere Mussolini ebbe a lamentarsi del comportamento degli Agnelli, che dal regime fascista prendevano soldi e benevolenza (nel fermare proteste operaie del sindacato) e al contrario non facevano che chiedere; sprezzante, a un certo punto del testo, il Duce del Fascismo si lancia in un’invettiva e minacce di scatenare lo sciopero se tali richieste fossero continuate.
A quanto pare da ciò, gli Agnelli non furono una spina nel fianco dei nostri genitori, ma bensì anche dei nostri nonni.

Le alterne fortune, che negli anni, a dispetto dell’ingente mole di danaro pubblico ottenuto in concessione, hanno condotto le principali aziende della famiglia a perdere sotto quasi tutti i fronti nei quali queste competevano, condussero a un punto dato per il quale la maggiore di tali aziende (la FIAT) versasse in condizioni moribondesche, con lo spettro di una bancarotta imminente.
Sebbene l’arrivo di Sergio Marchionne  alla guida di tale azienda abbia costituito il salvataggio di essa (ed altre), ha anche definito l’inizio di un’inesorabile erosione del potere degli Agnelli nella gestione: Jaki (all’anagrafe John: il soprannome viene dallo stesso rifiutato in quanto segno di diminutio) Elkann infatti vede diminuire sotto i suoi piedi le quote azionarie della famiglia, acquisizione dopo acquisizione, nell’ammodernamento del sistema industriale, che spazza via le vecchie icone e le tritura sotto le macine della produzione.

Silvio Berlusconi, in un'immagine della sua giovinezza.

Silvio Berlusconi, in un'immagine della sua giovinezza.

Liquidati gli Agnelli, la nazione si è rivolta negli ultimi anni a un parvenu, un self-made man (come generosamente gli Americani definiscono tali figure), che ha costruito un impero tale da rivaleggiare e in alcuni momenti soppiantare quello della FIAT, dominatore di decenni passati.

Berlusconi, incoronato Silvio I di Arcore, piace anche di più, essendo di una cerchia più popolare, più vicina ai modi e la cultura della gente comune, quella che per anni ha guardato i suoi programmi televisivi, quella che ha comprato i suoi giornali e che lo ha votato per uno scranno in parlamento, come mai nessuno prima di lui (gli Agnelli avevano un seggio senatoriale riservato, ma assegnato dal re o dal presidente della repubblica di turno).
Ai più sembravano buffe eccentricità le sue superficialità (il simbolo simil-nobiliare del biscione ricamato nei giardini delle residenze e installato nelle cotte d’armi acquistate, le operazioni di chirurgia estetica, le ostentazioni delle amanti di dozzinale bellezza ovvero l’uso del titolo onorifico di “Cavaliere” quale schiatta di nobiltà), che oggi ritornano indietro come un colpo di frusta mal indirizzato.

Con un onerossisimo divorzio imminente, che verosimilmente farà venir fuori squallori ancora non noti della vita del Cavaliere (quelli noti hanno, nell’inconsapevolezza comune, abbassato il livello sociale generale), anche la dinastia reale dei Berlusconi sembra diretta verso la frantumazione: liti per l’eredità economica tra i figli naturali, quelli illegittimi (che prima o poi scopriranno i propri diritti), quella politica tra gli alleati che da tempo malsopportano tanta luce accecante proveniente dai 64 denti in bella mostra, e quella morale, ormai contesa solo da animali di cortile.

Si attende dunque di trovare un nuovo sovrano per quest’Italia dai cuori in frantumi.

Written by Antonello Provenzano

5 Maggio 2009 at 4:06 PM