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Uno sguardo personale alla Politica

Assurda[mente]

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Per circa una quindicina d’anni sono stato un leale, convinto e munifico sostenitore della Destra Italiana e ciò che sto pensando, e conseguentemente scrivendo, mi appare per tale un’assurdità, in contrasto con ogni mio ideale e logica politica seguita e propugnata fino ad ora.
Eppure arriva un limite oltre il quale non si può continuare a far finta di non vedere il marciume che t’insozza i piedi, laddove scorreva un fiumiciattolo, piccolo ma limpido: giunti a tal punto si deve avere il coraggio di urlare ovvero di morire in disparte.

Ho avuto modo di raccontare in passato la mia adesione a Forza Italia, quando ancora ero un ragazzino, delle lotte per la libertà minacciata, delle delusioni e di tutto il resto: quando ogni mia illusione giovanile era ormai stata soffocata dal tragico incombere della maturità politica, decisi dunque di prolungare la durata dei miei sogni ancora innanzi, sposando la causa di un’ideologia ancora più radicale, più volgare forse, ma divulgata  da gente che credeva in ciò che diceva, senza porre, prima d’ogni altra considerazione, il proprio interesse personale.

Siamo rimasti delle vergini, non tanto perché volessimo preservare la nostra virtù, quanto perché eravamo troppo orrendi oer esser toccati, e questo ci ha salvati.

Non so se qualcun altro prima di lui la pronunziò, ma la sentii dalla bocca di Alfredo Mantica ad una cena, descrivendo il modo in cui l’allora Movimento Sociale Italiano si salvò dalla mannaia giudiziaria che si abbatté sulle forze anti-comuniste durante i primi anni novanta (del secolo scorso).
Ebbene, le vergini si sono messe del trucco a buon mercato e hanno aperto le gambe; sempre più sovente finché l’essere fottute non causa più nessun piacere, né forse attenzione: delle vere puttane.

Corrotti dal potere, dalla luce fuori la caverna, da un piatto di lenticchie calde e da qualche moina, gli esponenti di Destra hanno svenduto al miglior offerente un secolo abbondante di lotte sociali e ideologie legalitarie (ed egalitarie).
Tanto asserviti ormai ai giochi del potere, essi non riconoscono più, o quanto meno non provano vergogna nel compierli, gli atti immorali, ancorché illegali, asserviti al pensiero totale dell’illegalità e dell’immoralità quale stile di vita rivoluzionario, il quale altro non è che un miserimmo tentativo piccolo-borghese di emergere dal grigiore di vite vuote, vacue.

Quindi, cosa mai di tanto assurdo sto pensando di scrivere in questo momento ai miei venti (alle volte venticinque) lettori giornalieri? Una preghiera.
Non prego più da tanto, specie divinità umane trascendenti i principi della conoscenza empirica, ma credo che una preghiera rivolta ad altri esseri simili a me possa sortire effetti maggiori.

La preghiera è “Non votateli!”. Basta accordare il vostro voto a gente che ormai vi usa come vacche cariche di latte; buoi da spremere, macellare e delle cui carcasse sbarazzarsi il giorno dopo. L’avidità e il potere hanno corrotto le menti di questa gente, venuta dal nulla senza nulla, che nel nulla inevitabilmente ritorna: durante il viaggio che li conduce alle proprie origini, acquisiscono un tal senso di superiotà rispetto a ciò che erano, che saranno, insopportabile per la morale comune.

Lo Scandalo delle Liste, di questi giorni è un ennesimo caso di totale mancanza di rispetto per ogni minimo principio di legalità, di opportunità, di moralità e buon senso: sicuri del proprio potere sovrano, questi improvvisati politicanti (arrivisti della peggior specie) hanno creduto che tutto fosse loro permesso, risultando in un globale pandemonio istituzionale, al limite del ridicolo (come disse un giorno Ennio Flaiano “La situazione è tragica, ma non è seria”).

Quindi smettiamo di votare certa gente. facciamogli mangiare un poco di polvere, con contorno d’umiltà. Facciamo capire a tutti costoro che il loro potere e il loro senso malsano della moralità ha un termine, laddove noi elettori lo poniamo. Diciamo loro che non si vince se il costo della vittoria è la nostra anima.

Written by Antonello Provenzano

7 marzo 2010 at 1:43 am

La botte piena… e la moglie?

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Da anni in Italia si hanno notizie di manifestazioni di piazza che vedono coinvolti studenti, ricercatori, professori e compagnie cantanti attorno (contorni di politici di piccolo cabotaggio e furbi che speculano sulla disgrazia), tutti alla ricerca di fondi pubblici per l’istruzione e la ricerca.
Il concetto, di per sè, più che giusto potrei dire essere sacrosanto,  nella visione evoluzionistica della società moderna che, dal movimento futurista in poi, ha nella ricerca scientifica e technologica il suo motore vitale.

E quindi, se condivido il concetto di base, perché dovrei avere qualcosa a che ridire sulle manifestazioni di cui leggo sui giornali o vedo in televisione? Semplice a dirsi: perché non mi ritengo un ipocrita, come quelli che sollevano cartelli e rilasciano interviste attaccando il sistema e gli scarsi fondi, che li obbligano ad essere precari ad vitam.
Il motivo dell’ipocrisia è originato dalla miopia con la quale viene osservato il principio della ricerca, secondo la visione conservatrice della burocrazia statalista (tendenzialmente appartenente al conservatorismo di sinistra, ma radicata anche  in larghe frange della destra progressista), la quale vorrebbe uno Stato munifico di risorse per ricerche pubbliche non finalizzate ad alcun risultato di rilevanza economica.

Sebbene sia un enunciato ricco di moralismo etico, perfetto nel mondo immaginario d’Utòpia, esso non si applica né alla natura umana, né alla realtà delle cose (quanto meno, nel mondo del possibile e reale).

Mi sorprendo ogni volta nell’osservare i [giovani] cervelli in fuga da un’Italia disastrata, priva di possibilità e sbocchi professionali, rilasciare interviste criticando l’assenza di fondi, lo stato dei loro contratti precari presso le università e l’avvilimento nel dovere avere a che fare con il contesto dei potentati e baronati, felici di andare a lavorare all’estero (a ragione, secondo me).
La sorpresa non è data tanto dalle dure accuse nei confronti d’un sistema fatiscente, che è sotto gli occhi di tutti, quanto per la pretesa che tale sistema migliori, rimanendo tale.

Infatti, questi trasfughi (come i colleghi contestatori rimasti entro i confini della Patria natìa) avrebbero voluto finanziamenti, strumenti e anche soltanto un contratto di lavoro stabile, da parte di istituzioni pubbliche, contestando duramente l’apporto del privato nella soluzione della situazione attuale, che snaturerebbe la ricerca pura, fine a se stessa, per riportarla a logiche di mercato e valutazioni di tipo finanziario/economico, laddove, invece, accettano di entrare in strutture universitarie o centri di ricerca privati, che operano da soggetti economici.

Studenti e ricercatori aderenti alla famigerata "Onda", il movimento conservatore universitario

Quando si contesta, infatti, la scarsità di mezzi italiani, portando a termine di paragone la ricchezza di Paesi quali gli Stati Uniti, la Francia o la Germania, si dimentica [volutamente] di ricordare che le istituzioni universitarie e di ricerca sono enti privatistici, che ricevono investimenti da multinazionali a fronte della produzione di risultati tangibili e riutilizzabili.
Massachussets Institute of Technology (MIT), Berkely, Stanford, Columbia, Brown (per rimanere al caso degli Stati Uniti; potrei citare ESC Lille, Sorbone, Sophia-Antipolis in Francia, ad esempio) non sono certo enti di beneficienza che elargiscono fondi in perdita per il gusto della ricerca: investono in ventures private (si pensi all’univeristà di Stanford, azionista di Google e proprietaria, prima dell’acquisizione da parte di Oracle, della SUN Microsystems), ottenendo dividendi da reinvestire nella ricerca di prodotti da rilanciare sul mercato.

La ricerca di Stato non ha mai portato a nulla, concreto (leggi: rivalutabile economicamente) o meno: nel momento, però, in cui il modello privatistico viene suggerito per riequilibrare il divario con gli altri Paesi, subito barricate, bottiglie moltov contro la polizia, occupazioni e tutto il resto del repertorio sessantottino italiano.

Written by Antonello Provenzano

10 febbraio 2010 at 5:39 PM

Pubblicato su economia, società

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Adulanza

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Angelo Mellone

Ieri (venticinque gennaio duemiladieci) è capitato che leggessi un articolo su Il Foglio, a firma di Camillo Langone, molto acre e irriverente, tutto votato all’attacco di Angelo Mellone, noto giornalista, opinionista e recentemente presentatore, proveniente, se non più appartenente, all’area riformista delle destra italiana, reo di essersi prostrato ai piedi del principe Fini, barattando la propria onestà intellettuale in cambio di un futuro posto da sottosegretario, consigliere d’amministrazione RAI, o simil cosa.

Devo dire che conosco Angelo, seppur virtualmente (Facebook è una grande risorsa per tutti coloro i quali vogliono poter dire “lo conosco!”), da qualche tempo, e lo leggo da molto più tempo (ad oggi potrei dire una diecina d’anni, quando pochi sapevano chi fosse), ritenendolo un valido esponente della destra culturale italiana: contornati dai vari De Angelis di turno, spaccateste e  nostalgici dell’era post-fascista (altresì detta neo-nazista) della Repubblica di Salò, Mellone mi è subito apparso illuminante e moderno, anche perché, dopo anni di ideologi di destra che a malapena sapevano coniugare il verbo essere in un corretto italiano.

Non appartengo alla schiatta di coloro i quali ragionano secondo il principio post hoc ergo propter hoc (“dopo di ciò quindi a causa di ciò”), che nel caso in questione vorrebbe che le accuse di Langone siano vere, riducendo qualunque azione al suo effetto; ciò non di meno ho notato negli ultimi tempi un ammorbidimento nelle posizioni propagandate da Angelo Mellone (per dire di colui di cui si sta trattando: la stessa critic la muovo anche a Filippo Rossi, Franco Bechis e altri), speculando il comportamento del leader, ormai caduto in disgrazia presso i suoi, della destra italiana (Fini, ndr), in contraddizione con molte delle posizioni fondamentali che contraddistinguono le ideologie classiche (es. aborto, eutanasia, famiglia, cittadinanza).

Noto sempre di più e con sempre maggior angoscia un fenomeno adulatorio nei confronti del potente impossessarsi della destra italiana: seppur un mal-costume tipico del nostro popolo (da uomo del sud posso testimoniarlo maggiormente), per decenni l’ambiente cultural-politico della Destra ne era rimasto immune, contraddicendo il principio del conservatorismo ossequiante, elevandoci alla stregua di gente sempre in lotta col potere, impermeabili ad ogni corruzione morale o pecuniaria (non per niente, quello che allora era il Movimento Sociale Italiano uscì dalla fase di Tangentopoli come unico non toccato da alcuna inchiesta).

Sandro Bondi, il prototipo del nuovo modello di "ossequiante" al potere

L’avvento di Silvio Berlusconi sulla scena politica, vieppiù nelle fila del centro-destra, ha galvanizzato molti (me compreso, da principio), facendo ritenere che l’avvento d’un nuovo messia, dopo il Duce, fosse ormai giunto e che saremmo stati tutti condotti alla vittoria contro i demoni del comunismo e la follia delle conseguenze che esso avrebbe apportato alla nostra Patria.
Ma questa venuta e gli anni che ne sono seguito hanno sconvolto grandemente il nostro concetto di purezza intellettuale: uomo pragrmatico (ghe pensi mi) e di scarsa cultura personale, il Cav. non ha mai amato, come molti imprenditori del suo rango, la presenza di chiunque non sia d’accordo con le sue scelte, il quale viene immediatamente emarginato per non apportare nocumento all’immagine del leader; nel tempo, tale prassi ha condotto ell’emersione di mediocri uomini, privi di ogni morale o ideologia (si parla oggi di politica post-ideologica per definirne il comportamento), che infoltiscono le schiere adulanti personaggi, aspiranti nella benevolenza del signore del partito.

Corruptio optimi pessima

Così l’appiattimento di ogni discussione politica ha annichilito ogni elaborazione, facendo ormai ritenere gli opinionisti e i giornalisti dei semplici esecutori di comandi superiori, assimilati a compiacenti divulgatori del pensiero dominante: non se ne abbia a male, quindi, Angelo Mellone se quell’iconoclasta di Langone, finché ancora non omologato a voce di partito, lo attacchi tal duramente (magari facendo affidamento solamente sulla realtà da lui percepita): le critiche fanno male e sono irritanti, vieppiù se avvertite come ingiuste, ma aiutano a vedere ciò che non riusciamo più a notare.

Written by Antonello Provenzano

26 gennaio 2010 at 1:37 PM

Pubblicato su politica, società

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Termini al termine (finalmente)

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Quando si viaggia sull’autostrada [regionale] che va da Palermo a Messina, poco dopo l’uscita di Villabate, s’iniziano a scorgere delle ciminiere bianche e rosse a strisce orizontali, che vanno definendosi man mano che vi si avvicina: sin da quando ero un bambino, e con la famiglia andavamo in villeggiatura in una casa sul mare vicino Cefalù, le ho osservate dal finestrino della macchina, incuriosito e talvolta affascinato dalla possenza e dal singolare aspetto.

Quelle ciminiere, scoprii in età più matura, erano in realtà l’unico segno dell’industrializzazione nell’occidente Siciliano: si ergono ancora (e per poco inoltre) nel mezzo di un deserto di capannoni industriali cadenti, vuoti e scheeletrici, che muovono sulle labbra un sorriso isterico quando si legge sulla strada l’indicazione “Zona Industriale”, con riferimento all’area in questione.

Per decenni l’attività principale del territorio circostante è stata la produzione  di automobili FIAT (a onor del vero: di pessima qualità) e Lancia, la qual cosa ha incrementato la popolazione dei comuni circostanti (Termini Imerese, Villabate e Bagheria), attirando villici da ogni angolo della Sicilia occidentale, in cerca del posto fisso in fabbrica.
Al fine di fomentare tale afflusso, innegabilmente per motivi elettoralistici, i potenti signori del territorio (deputati regionali, nazionali e sindaci) hanno spinto forzosamente la Regione  Siciliana a fungere da ufficiale pagatore e corruttore, nella misura in cui, camuffati da incentivi e altri sgravi fiscali, ha corrotto l’azienda torinese, da sempre in crisi per la scarsità delle vendite dei propri modelli, purché continuasse la produzione sulle rive dell’Imera.

Sergio Marchionne, il nuovo Signore di casa FIAT

Gli Agnelli, è noto, sono gran brutta gente, e da tanto ormai (sebbene con buoni matrimoni nobiliari si siano affrancati e innalzati al rango di nobili borghesi, come i loro omologhi americani, originariamente trafficanti di alcohol, i Kennedy): è noto uno scambio epistolare tra il Duce del Fascismo (Mussolini, insomma) e il Cavaliere Giovanni Agnelli, nel quale il secondo pietiva fondi pubblici (già un secolo fa!), minacciando il primo, e questo di rimando minacciava scioperi nelle fabbriche da parte del sindacato fascista. In varie occasioni Mussolini ebbe modo di lamentarsi con i suoi collaboratori delle insistenze dell’industriale torinese, riducendolo a un pietente incapace.
I decenni son trascorsi, ma lo stile Agnelli non è cambiato: fondi pubblici, a fronte di impieghi di amici e clientes dei vari potenti di turno: un circolo del vizio che ha funestato le casse pubbliche, contribuendo in grande misura al disavanzo nazionale.

Ebbene, a un certo punto della nostra storia arriva d’improvviso una crisi economica, e conseguentemente industriale, senza pari da quasi un secolo: si devono dismettere tutti i rami secchi e puntare sul tronco vivo.
L’illuminato nuovo signore di casa Agnelli, Sergio Marchionne, elabora una strategia molto concreta, al fine di superare l’imprenditoria statalista: pone fine alle clientele e punta sulla qualità e quantità della produzione. Ergo, lo stabilimento di Termini Imerese non è più necessario, in quanto gestito male, improduttivo e costoso, a favore di quelli polacco di Gdànsk (Danzica), dove con metà dello stipendio di un metalmeccanico siciliano, il suo omologo polacco produce un terzo in più.

Per quanto personalmente trovi ripugnante l’idea di sovvenzioni statali (leggasi, ad esempio, “incentivi per la rottamazione”) atti a finanziare altri sistemi economici (nell’esempio sopra citato, quello polacco), non posso negare che sia del tutto logico che una società privata tenda al profitto e razionalizzi i sistemi produttivi.
Una separazione amichevole tra Stato Italiano (o Regione Siciliana) e Agnelli è quanto di meglio ci si possa attendere ad oggi, nella speranza che il divorzio sia reso definitivo presto, vista anche la recente acquisizione di importanti mercati stranieri da parte della FIAT-Marchionne.

Written by Antonello Provenzano

12 gennaio 2010 at 12:57 PM